Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.
La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degranti, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984, stabilisce all'articolo 1 la seguente definizione di tortura:
"Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un reato che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o col suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate".
La tortura è prassi sistematica sotto regimi repressivi che vivono nell’oppressione della popolazione, ma anche negli stati più sviluppati e democratici. Una visione di insieme è suggerita dal Rapporto 2008 redatto dall’organizzazione per i diritti umani Amnesty International: “a 60 anni dall'adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani la tortura è ancora presente in almeno 61 paesi e processi iniqui si celebrano in almeno 54 paesi”.
Ancora più pessimistico il quadro offerto dai dati dell’Unione Europea, che parla di ben 102 paesi in cui si pratica la tortura. Si stima inoltre che l'Europa accolga ben 400.000 i rifugiati vittime di tortura e ogni anno arrivino 16.000 richiedenti asilo sopravvissuti a esperienze di tortura. Violenze, torture e vessazioni albergano nelle carceri algerine, come in Gran Bretagna contro i ribelli dell’Ira; in Marocco contro i profughi saharawi, come in Cina nei confronti dei dissidenti; sono state applicate dalle truppe americane in Vietnam il secolo scorso, come nei nostri giorni nella prigione di Guantanamo o a Bagram in Iraq; dalle dittature sudamericane nei decenni passati fino al Myanmar o ancora in Darfur degli ultimi anni.
Nel luglio 2017 è stato introdotto in Italia il reato di tortura, ma 1 Italiano su 2 non lo sa. Tra il restante 48% che ne è consapevole, ben 6 intervistati su 10 dichiarano che la legge era necessaria, mentre per 1 italiano su 4 la legge andrebbe migliorata. Infine, per il 12% non era necessario questo aggiornamento giuridico e sarebbe stato meglio concentrarsi su altro. Oltre ad indagare il pensiero degli italiani sul reato di tortura, Amnesty International ha chiesto ai nostri connazionali di esprimere la loro opinione riguardo l’autorizzazione alla vendita delle armi fabbricate in Italia all’Arabia Saudita, usate per bombardare civili in Yemen. 6 Italiani su 10 si dicono contrari, considerando la vendita di armi un errore che viola le leggi internazionali sui diritti umani a cui il nostro Paese ha aderito. Di contro, quasi un quarto degli italiani si pronuncia come favorevole: per il 15% del totale il Governo italiano opera nel rispetto delle leggi, mentre una minoranza (l’8% del campione) pensa che se non fosse l’Italia a vendere le armi all’Arabia Saudita lo farebbe qualcun altro.
A luglio 2017, l’Italia ha finalmente approvato una legge che ha introdotto il reato di tortura ma, come riportato nel Rapporto di Amnesty International 2017-2018, un comitato di esperti dell’Onu ha definito questa legge non conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e, pertanto, va modificata. Inoltre, la nuova legge non prevedeva l’applicazione di altre norme fondamentali, tra cui la revisione dei metodi di interrogatorio della polizia e le misure per il risarcimento delle vittime.
Fonti: Scheda "Tortura" di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Diritti-umani/Tortura.
Amnesty.it
La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degranti, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984, stabilisce all'articolo 1 la seguente definizione di tortura:
"Qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un reato che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o col suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate".
La tortura è prassi sistematica sotto regimi repressivi che vivono nell’oppressione della popolazione, ma anche negli stati più sviluppati e democratici. Una visione di insieme è suggerita dal Rapporto 2008 redatto dall’organizzazione per i diritti umani Amnesty International: “a 60 anni dall'adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani la tortura è ancora presente in almeno 61 paesi e processi iniqui si celebrano in almeno 54 paesi”.
Ancora più pessimistico il quadro offerto dai dati dell’Unione Europea, che parla di ben 102 paesi in cui si pratica la tortura. Si stima inoltre che l'Europa accolga ben 400.000 i rifugiati vittime di tortura e ogni anno arrivino 16.000 richiedenti asilo sopravvissuti a esperienze di tortura. Violenze, torture e vessazioni albergano nelle carceri algerine, come in Gran Bretagna contro i ribelli dell’Ira; in Marocco contro i profughi saharawi, come in Cina nei confronti dei dissidenti; sono state applicate dalle truppe americane in Vietnam il secolo scorso, come nei nostri giorni nella prigione di Guantanamo o a Bagram in Iraq; dalle dittature sudamericane nei decenni passati fino al Myanmar o ancora in Darfur degli ultimi anni.
Nel luglio 2017 è stato introdotto in Italia il reato di tortura, ma 1 Italiano su 2 non lo sa. Tra il restante 48% che ne è consapevole, ben 6 intervistati su 10 dichiarano che la legge era necessaria, mentre per 1 italiano su 4 la legge andrebbe migliorata. Infine, per il 12% non era necessario questo aggiornamento giuridico e sarebbe stato meglio concentrarsi su altro. Oltre ad indagare il pensiero degli italiani sul reato di tortura, Amnesty International ha chiesto ai nostri connazionali di esprimere la loro opinione riguardo l’autorizzazione alla vendita delle armi fabbricate in Italia all’Arabia Saudita, usate per bombardare civili in Yemen. 6 Italiani su 10 si dicono contrari, considerando la vendita di armi un errore che viola le leggi internazionali sui diritti umani a cui il nostro Paese ha aderito. Di contro, quasi un quarto degli italiani si pronuncia come favorevole: per il 15% del totale il Governo italiano opera nel rispetto delle leggi, mentre una minoranza (l’8% del campione) pensa che se non fosse l’Italia a vendere le armi all’Arabia Saudita lo farebbe qualcun altro.
A luglio 2017, l’Italia ha finalmente approvato una legge che ha introdotto il reato di tortura ma, come riportato nel Rapporto di Amnesty International 2017-2018, un comitato di esperti dell’Onu ha definito questa legge non conforme alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e, pertanto, va modificata. Inoltre, la nuova legge non prevedeva l’applicazione di altre norme fondamentali, tra cui la revisione dei metodi di interrogatorio della polizia e le misure per il risarcimento delle vittime.
Fonti: Scheda "Tortura" di Unimondo: www.unimondo.org/Guide/Diritti-umani/Tortura.
Amnesty.it