"Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un'attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati".
L'articolo conclusivo della Dichiarazione ha un grande valore, poiché esso implica la collaborazione di tutti gli stati, i governanti ma anche le singole persone per la realizzazione e il rispetto dei trenta diritti.
Non ci sono differenze di lingua, sesso, religione, orientamento politico, ceto sociale. Non esistono più i confini e le frontiere: tutti sono per una volta esseri umani uniti e impegnati affinché le violazioni dei diritti umani non si ripetano più.
Dopo settant'anni, la lotta e l'impegno non sono finiti: ci sono ancora tanti conflitti, disuguaglianze, maltrattamenti, violazioni e profonde ingiustizie, ed è per questo che non possiamo chiudere gli occhi davanti a quegli "atti miranti alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati". Perché le ingiustizie non hanno nazionalità, sono ingiustizie umane e in quanto umani, ci riguardano.