"1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell'impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione.
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi".
2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro.
3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale.
4. Ogni individuo ha diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi".
Il messaggio che proviene dal Diritto internazionale è che il settore del lavoro non può essere lasciato al libero arbitrio del mercato, ma deve costituire oggetto di politiche pubbliche nel quadro di una più ampia programmazione di stato sociale. E’ inoltre stabilito che deve esserci “la possibilità eguale per tutti di essere promossi, nel rispettivo lavoro, alla categoria superiore appropriata, senza altra considerazione che non sia quella dell’anzianità di servizio e delle attitudini personali”. La meritocrazia trova qui i parametri conformi a dignità umana, come tali prioritari rispetto a qualsiasi altra tipologia.
Nell’interpretazione del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali il diritto al lavoro è un diritto che inerisce ad ogni persona ed è allo stesso tempo un diritto collettivo. Esso comprendente tutte le forme legittime di lavoro, dipendente o non.
La disoccupazione e la mancanza di lavoro sicuro spingono i lavoratori a trovare occupazione nel settore informale dell’economia. Il vigente Diritto internazionale è molto deciso nello stigmatizzare sia il lavoro forzato sia il lavoro prestato in settori dell’economia informale. Il primo è definito dall’OIL come “qualsiasi lavoro o servizio esigito dalla persona sotto la minaccia di una qualsiasi penalità e per il quale la persona non si è offerta volontariamente”. Gli stati sono obbligati ad abolire, vietare e contrastare qualsiasi forma di lavoro forzato, come anche prescritto dall’articolo 5 della Convenzione sulla schiavitù. Gli stati devono altresì intervenire per ridurre quanto più possibile il numero di lavoratori che operano al di fuori dell’economia formale, obbligando i datori di lavoro a rispettare la legge e dichiarare i nomi dei loro lavoratori in modo da rendere possibile la garanzia dei loro diritti.
Il diritto umano al lavoro è strettamente collegato ai cosiddetti diritti sindacali, a fondare e far parte di sindacati.
1. Protezione contro la disoccupazione
“Definite ‘terroristi’ e private dei loro mezzi di sostentamento, decine di migliaia di persone la cui vita personale e professionale è stata distrutta attendono ancora giustizia”, ha dichiarato Andrew Gardner, direttore della strategia e della ricerca sulla Turchia di Amnesty International.
“Nonostante la chiara natura arbitraria dei licenziamenti, la Commissione sta di fatto mettendo automaticamente il timbro agli ingiusti provvedimenti originari. L’intera procedura è un vergognoso affronto alla giustizia”, ha aggiunto Gardner.
Con il colpo di stato del luglio 2016, è stato adottato uno stato d’emergenza che ha portato al licenziamento di 130.000 lavoratori del settore pubblico in modo del tutto arbitrario e unicamente sulla base dei decreti.
In questo preoccupante quadro emerge come medici, funzionari di polizia, insegnanti, accademici e decine di migliaia di lavoratori del settore pubblico sono stati licenziati per presunti “legami con organizzazioni terroristiche” e attendono ancora di essere reintegrati o risarciti.
Attività innocue e all’epoca del tutto lecite sono state usate dalla Commissione per giustificare retroattivamente i licenziamenti e i divieti permanenti di trovare nuovi impieghi nel settore pubblico o addirittura di esercitare la medesima professione.
Azioni come depositare soldi in una certa banca, appartenere a un determinato sindacato o scaricare una specifica applicazione per lo smartphone sono state usate come prove di “legami” con gruppi “terroristici” messi al bando, senza alcuna ulteriore prova di tali “legami” o di altri comportamenti criminali.
“Ci hanno licenziato senza motivo e ora stanno cercando delle scuse per giustificarlo”, ha spiegato un insegnante licenziato per aver depositato soldi nella Bank Asya, all’epoca controllata dal governo e il cui ricorso è stato respinto dalla Commissione.
Non sapendo quali fossero gli addebiti specifici nei loro confronti o le prove usate contro di loro, nel fare ricorso devono immaginare quali possano essere state le ragioni della fine del loro contratto di lavoro. In una situazione del genere, rigettare le accuse e avere accesso a un’effettiva procedura d’appello è difficile.
“I motivi del licenziamento non sono stati resi noti e non ci è stata data la benché minima possibilità di ricorrere in modo efficace. Abbiamo presentato un appello senza sapere esattamente contro cosa ci stavamo appellando”, ha riferito ad Amnesty International la moglie di un funzionario pubblico licenziato.
Alcune decisioni negative della Commissione sono risultate così prive di informazioni sufficienti sulle prove secondo le quali la persona licenziata aveva legami con gruppi fuorilegge da rendere difficile presentare un ulteriore appello a un tribunale amministrativo.
I lavoratori del settore pubblico che sono stati abbastanza fortunati da essere reintegrati sono spesso assegnati a mansioni peggiori di quelle che avevano prima del loro ingiusto licenziamento.
“Il nostro diritto a portare avanti in tribunale la richiesta di risarcimento è stato smantellato. Nel periodo in cui non lavoravo sono andato incontro a grandi difficoltà. Mia moglie è ancora in terapia a causa del trauma psicologico che ha sofferto”, ci ha detto un funzionario pubblico reintegrato nel suo posto di lavoro.
2./3. Retribuzione equa
Alla fine di ottobre l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, ha emanato la legge 17/2018 che istituisce un Fondo assicurativo e di sostegno per i lavoratori.
“Questo fondo potrebbe dare speranza a centinaia di lavoratori migranti sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli. Sebbene sia da vedere come la legge verrà applicata, si tratta di un positivo avvicinamento agli impegni presi dal Qatar in favore dei diritti della forza-lavoro migrante. Ora le autorità devono assicurare che il fondo sia dotato di sufficienti risorse per porre tempestivo rimedio allo sfruttamento subito dai lavoratori migranti”, ha dichiarato Steve Cockburn, vicedirettore del programma Temi globali di Amnesty International.
“Appena un mese fa abbiamo denunciato che molti lavoratori assunti dall’impresa ingegneristica Mercury MENA erano stati lasciati soli e disperati senza stipendio. Purtroppo, non si tratta di un caso isolato. L’istituzione del fondo potrebbe dare protezione e respiro a tutti i lavoratori che si trovano in una situazione analoga. Chiediamo al governo del Qatar di assicurare che i lavoratori della Mercury MENA, molti dei quali tornati nei loro paesi senza soldi, siano tra i primi beneficiari del fondo”, ha aggiunto Cockburn.
“Resta comunque molto da fare perché il Qatar rispetti le promesse di apportare miglioramenti nel campo dei diritti dei lavoratori in vista e prima dei mondiali di calcio del 2022. Ribadiamo la nostra richiesta affinché sia abolito completamente il sistema abusivo dello ‘sponsor’ che continua a permettere lo sfruttamento di un gran numero di lavoratori migranti”, ha concluso Cockburn.
4. Persecuzione sindacalisti Teheran
In un rapporto diffuso nel 2011, intitolato ‘Determinati a vivere in dignità: la lotta per i diritti dei sindacalisti iraniani’, Amnesty International ha chiesto alle autorità di Teheran di rispettare le libertà sociali ed economiche di base e di porre fine agli arresti dei sindacalisti e alla repressione delle organizzazioni indipendenti dei lavoratori.
‘Un governo che si dimostra sempre più intollerante nei confronti del dissenso sta facendo pagare un prezzo elevato ai sindacalisti indipendenti. Le intimidazioni e le persecuzioni cui vanno incontro fa parte del disperato tentativo del governo di evitare lo scontro sociale che potrebbe derivare dai nuovi aumenti del costo del carburante e dell’elettricità‘ – ha dichiarato Malcolm Smart, ex direttore del Programma Africa del Nord e Medio Oriente di Amnesty International.
‘Il governo pare intenzionato a stroncare le organizzazioni sindacali esistenti, mentre continua a vietare la costituzione di nuovi sindacati indipendenti, in grave spregio degli obblighi derivanti dalla sua presenza nell’Organizzazione internazionale del lavoro nonché del diritto al lavoro dei suoi stessi cittadini‘ – ha commentato ex Shane Enright, consulente per i rapporti con le organizzazioni sindacali globali di Amnesty International.
Il rapporto di Amnesty International ricorda gli arresti, all’indomani della repressione postelettorale del 2009, dei principali attivisti dell’Unione degli autisti del trasporto pubblico di Teheran, un’organizzazione sindacale indipendente messa al bando. Durante uno sciopero, nel 2006, oltre 1000 sindacalisti e loro familiari vennero attaccati brutalmente.
Mansour Ossanlu, ex presidente del Sindacato degli autisti del trasporto pubblico di Teheran, è stato più volte arrestato. Quando, la settimana scorsa, è stato posto in libertà condizionata, aveva trascorso in prigione quasi quattro anni. Da quando ha iniziato a organizzare scioperi per chiedere aumenti salariali, è stato sottoposto a sparizioni forzate, processi iniqui e pestaggi e gli sono state spesso negate le cure mediche: in quelle poche occasioni in cui gli sono state fornite, è stato curato mentre era incatenato al suo letto.
‘Abbiamo gioito per il rilascio di Ossanlu, ma in primo luogo non avrebbe mai dovuto essere arrestato. Ora la sua libertà dev’essere incondizionata e gli altri sindacalisti prigionieri di coscienza devono essere rilasciati immediatamente. Le autorità iraniane devono porre fine, una volta per tutte, alle persecuzioni, alle intimidazioni e agli imprigionamenti di sindacalisti che cercano unicamente di far rispettare i diritti dei lavoratori previsti nelle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro‘ – ha aggiunto Enright.
Il sindacato di Ossanlu è affiliato alla Federazione internazionale dei lavoratori dei trasporti (Itf), uno dei sindacati globali impegnato con Amnesty International nella campagna per i diritti dei lavoratori in Iran.
‘L’incredibile trattamento cui sono stati sottoposti Ossanlu e gli altri esponenti del Sindacato degli autisti del trasporto pubblico di Teheran dimostra quanto parte delle istituzioni iraniane temano quel sindacato come una genuina forza di cambiamento e riforme‘ – ha affermato David Cockroft, ex segretario generale dell’Itf. ‘Il suo rilascio è un passo positivo, ma ora lui e i suoi colleghi devono poter rappresentare liberamente gli interessi degli iscritti al Sindacato senza timore di essere arrestati e perseguitati‘.
Dalle proteste di massa seguite alle elezioni presidenziali del 2009, i sindacati indipendenti, così come altri organismi e attivisti indipendenti iraniani, sono al centro di attacchi sempre più violenti.