- Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
- Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.
In base al diritto internazionale gli Stati hanno il diritto sovrano di controllare l’entrata, lo stabilimento e la residenza delle persone nel loro territorio, nel rispetto dei limiti previsti dai trattati internazionali ed effettivamente, il diritto ad abitare, a sposarsi, ad avere una vita familiare, il diritto al lavoro, il diritto di trasferirsi da un paese all’altro, il diritto alla sicurezza, il diritto alla salute ecc. sono tutte implicazioni della libertà di movimento. Non solo. Il carattere pressoché strutturale dei flussi migratori innescati da guerre, carestie, povertà, diffusione dei regimi dittatoriali e della pratica delle persecuzioni politiche ha fatto del tema della libera circolazione delle persone una cartina di tornasole per comprendere anche il nostro mondo, cosicché non è esagerato affermare che gran parte della nostra cultura e del nostro modo di pensare sembra essere implicato in questa tematica.
La norma internazionale distingue il movimento a seconda che avvenga dentro il territorio di uno stato o da uno stato all’altro. In questa seconda ipotesi, la libertà è di uscire e di rientrare nel proprio paese. L’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici specifica ulteriormente e arricchisce il contenuto dell’articolo 13 della Dichiarazione universale, in particolare stabilendo che la libertà dentro uno stato è dello “individuo che vi si trovi legalmente”, e che tale diritto non può essere oggetto di restrizioni tranne che quelle che, previste dalla legge e compatibilmente con tutti gli altri diritti fondamentali, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, nonchè gli altrui diritti e libertà. Il Comitato dei diritti umani (civili e politici) delle Nazioni Unite ha affermato che la questione di stabilire se uno ‘straniero’ si trovi legalmente nel territorio di uno stato è materia che rientra nella giurisdizione domestica dello stato interessato, ma che in ogni caso deve essere disciplinata in conformità con gli obblighi internazionali di quest’ultimo. Uno straniero espulso legalmente ha il diritto di scegliere il paese di destinazione col consenso di questo e la garanzia è anche contro ogni forma di trasferimento forzato all’interno dello stato.
Il diritto di lasciare un paese comprende allo stesso tempo il diritto di ottenere i necessari documenti di viaggio, compreso il passaporto. Uno stato non può rifiutare di prolungare la validità del passaporto di un proprio cittadino che si trovi all’estero e voglia rientrare. Il rifiuto infatti può comportare la deprivazione del diritto di quella persona di lasciare il paese di residenza e di spostarsi altrove.
Le barriere politiche e burocratiche che gli stati frappongono all’esercizio di questo diritto sono praticamente infinite, dalle normative in materia di cittadinanza e immigrazione che ignorano il paradigma dei diritti umani, alle lungaggini e agli ostruzionismi perpetrati in numerosi stati all’interno di ambasciate, consolati, uffici di polizia.
Il neoliberismo ha mirato all’abbattimento delle barriere doganali che ostacolano la circolazione delle merci, in nome della libertà degli scambi e della realizzazione del mercato unico mondiale, come dire: sì alla libertà di movimento delle cose materiali in nome della liberalizzazione dei mercati, no a intralci alla libertà di movimento delle persone umane nel rispetto dei loro diritti fondamentali.
Nel sistema dell’Unione Europea il processo di integrazione economica si è sviluppato all’insegna di “quattro libertà di movimento”: delle merci, delle persone, dei servizi, dei capitali. Con il Trattato di Maastricht è sopraggiunta la ‘cittadinanza dell’Unione Europea”, quale valore aggiunto alle cittadinanze nazionali dei paesi membri. Con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (Nizza, 2000) si è fatto un ulteriore passo avanti sul cammino della civiltà del diritto. Qualcosa di assolutamente innovativo è arrivata nel 2006 con il Regolamento (congiuntamente deciso dal Parlamento Europeo e dal Consiglio UE), che prevede la creazione del ‘Gruppo europeo di cooperazione territoriale’, dotato di personalità giuridica di diritto comunitario europeo. Si tratta di entità territoriali transnazionali, organizzate con propri statuti ed organi, promosse e composte da enti di governo locali (comuni, province, regioni, lander, contee): insomma le Euro-regioni assumono forma pienamente giuridica. Questi enti sono genuinamente ‘territorio’, ma non ‘confine’. Inizia così in Europa la liberazione della territorialità dall’uso monopolistico che ne è stato fatto, con muri e guerre, dagli stati ‘sovrani’.
Fonti: Amnesty International e http://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Articolo-13-Terra-casa-comune/17